Nella nostra cultura il cibo riveste, da sempre, un’importanza notevole, basti pensare a come esso scandisca le nostre giornate e spesso divenga elemento di comunicazione.
A questa logica si è andata adattando progressivamente anche la TV che propone palinsesti in cui a ogni ora vengono proposte sfide di cucina, ricette da seguire passo passo e realizzare in contemporanea con il cuoco.
"Ho bisogno di conoscere la storia di un alimento. Devo sapere da dove viene. Devo immaginarmi le mani che hanno coltivato, lavorato e cotto ciò che mangio" (Carlo Petrini)
Tutto questo parlare di cibo ha sicuramente un effetto sul nostro stile di vita, quanto più in un periodo come quello che stiamo vivendo.
Infatti, chiusi in casa spesso il cibo diviene un importante strumento di consolazione a cui ci rivolgiamo quando ci sentiamo tristi, impotenti, arrabbiati.
Questo trova conferma nelle statistiche di tutti i giorni: ad impennare non è solo l’acquisto di farina e lieviti, ma anche di cioccolato che non può essere considerato un bene di prima necessità.
Da qui il passaggio è molto breve: l’alimentazione è connesso alla sfera emozionale e non riguarda solamente il rapporto con la dimensione solamente fisiologica.
Attraverso il cibo (e l’allattamento del bambino nei primi giorni di vita ne è la più chiara manifestazione) si trasmettono emozioni, legami, appartenenze e questo la cultura italiana ha imparato a riconoscerlo e valorizzarlo. Infatti, tutti gli eventi felici, ma anche dolorosi della nostra vita trovano nel cibo uno strumento di unione, condivisione e relazione.
Una delle cose che più manca agli italiani è mangiare una pizza insieme il sabato sera o riunirsi per il pranzo della domenica: in quest’ottica il mangiare non è connesso al solo bisogno fisiologico di appartenenza, ma è il tramite attraverso cui definire legami e modi di stare in rapporto con l’altro.
Alla lunga, se la logica sottostante è quella di affidare al cibo l’espressione delle proprie emozioni, il rischio connesso è quello di “affogare” negli alimenti tutti i dolori a cui non riusciamo a dare voce, tutte le frustrazioni che non riusciamo a canalizzare in altro modo.
"Portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzetto di madeleine. Ma nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di biscotto toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario" (Marcel Proust)
Il primo passo, pertanto, è quello di imparare ad ASCOLTARSI e a dare voce ai propri bisogni: spesso ricerchiamo il cibo non perché siamo davvero affamati, ma perché ciò nasconde un’emozione che non è chiara.
Quando ciò accade, la prima cosa che possiamo fare è attivare un ascolto interiore più profondo, chiedendoci che cosa stiamo cercando e se davvero quel cibo può colmare quel tipo di mancanza.
Ci renderemmo conto, poco a poco di quanto sia più utile piangere se siamo tristi, gridare se siamo arrabbiati, ridere se siamo gioiosi di quanto non lo sia rifugiarsi nel cibo.
Quella momentanea illusione di pienezza è, per l’appunto effimera e contribuirà solamente ad aumentare il nostro senso di confusione e smarrimento.
Pertanto, vi consiglio di attivare un modo di MANGIARE CONSAPEVOLE, che sia connesso al vostro profondo sentimento di SENTIRE.
Alla fine dell'articolo troverete un' immagine guida che chiarisce quali sono gli indicatori di un mangiare consapevole.
Buona riscoperta del cibo!
"Detesto l'uomo che manda giù il suo cibo non sapendo che cosa mangia. Dubito del suo gusto in cose più importanti"
(C. Lamb)
Comentários