"Anche se si è lasciata la casa paterna sbattendo la porta o saltando la finestra, bisogna sempre tornare indietro a prendere le proprie valigie"
Quanto è faticoso diventare se stessi?
E quali sono i possibili ostacoli alla realizzazione di una identità individuale?
A parlarci di questi temi, così profondamente attuali, è Murray Bowen, che negli anni 60 del 1900 elaborò una preziosa teoria, cara non solo ai teorici di indirizzo sistemico-familiare, ma con importanti ripercussioni su tutto il mondo clinico.
Il lavoro di Bowen con le famiglie di pazienti schizofrenici permette di porre l’attenzione su un tema caro alla sua teoria: la differenziazione del sé dal sistema familiare.
È soprattutto dall’osservazione delle dinamiche relazionali di diadi madri-figli che Bowen parla di differenziazione come capacità di raggiungere una buona maturità emotiva acquisendo una identità personale autonoma ed emotivamente equilibrata.
"Il concetto della differenziazione del sé ha a che fare con la misura in cui una persona diviene emotivamente differenziata dal genitore"
Alle origini della sua teoria vi è un curioso episodio: Bowen assistette ad un convegno durante il quale il relatore sosteneva di aver impiegato ben 12 anni della sua vita a cercare di differenziarsi adeguatamente dalla propria famiglia di origine. Quando tornò a Georgetown, ove si svolgeva la sua attività clinica con pazienti schizofrenici, si rese conto che il manifestarsi di certe sintomatologie era strettamente interconnesso a dinamiche relazionali fusionali, nelle quali il mancato raggiungimento di una identità autonoma e differenziata impedisce non solo l’autorealizzazione, ma si proietta nelle generazioni successive in un vero e proprio processo di proiezione dell’immaturità.
Pertanto, uno dei temi caldi all’autore è quello di “massa indifferenziata dell’Io familiare” intesa come una identità emotiva conglomerata, che esiste a differenti livelli di intensità in tutte le famiglie e che tanto più è intensa, tanto più ostacola ciascun membro dall’acquisizione di una Posizione Io, frutto di un processo di autodefinizione e individualizzazione che sta alla base della salute mentale e del processo di realizzazione di ognuno.
La differenziazione, per Bowen, non è un fenomeno che si realizza con la distanza fisica (ed il taglio emotivo ne è una chiara manifestazione) ma è un processo complesso che si realizza nell’arco dell’intera esistenza.
“E' un vantaggio per la famiglia se uno dei suoi membri riesce a porsi in rapporto più liberamente senza prendere posizioni e senza farsi irretire nel sistema emotivo familiare (…) durante questo sforzo con la famiglia la persona arriva ad avere un ruolo unico che è importante per tutti, è rispettato e contribuisce all’individuazione e alla responsabilizzazione.”
A tal proposito l’autore, nel testo “Dalla famiglia all’individuo” propone una scala di differenziazione sottolineando che ad un estremo si collocano quei sistemi familiari eccessivamente invischiati, in cui non solo non c’è rispetto degli spazi e delle opinioni altrui, ma in cui ogni membro del sistema crede di sapere quale sono le emozioni, i pensieri, i sentimenti e le fantasie dell’altro.
All’estremo opposto Bowen descrive quelle condizioni in cui si assiste ad una differenziazione completa dell’individuo dal sistema familiare. Questa condizione, però, assume valore utopistico in quanto secondo Bowen “non si può mai essere differenziati del tutto dal sistema familiare”.
La sua personalità, molto carismatica ed estrosa, può ben essere colta nei tentativi di rientrare e uscire da casa per sondare la propria capacità di differenziazione lasciando lettere ad ogni familiare nelle quali si chiariva il proprio e l’altrui ruolo rispetto ai tentativi di differenziazione e acquisizione di una Posizione-Io.
Anche nella creazione di una nuova famiglia, secondo Bowen, ogni coniuge incontra l’altro nel suo personale processo di differenziazione dalla rispettiva famiglia di origine e tanto più bassi saranno i livelli di differenziazione, tanto più la famiglia si organizzerà in modalità disfunzionali che potranno trovare sfogo o nel conflitto aperto, o nella malattia di uno dei due coniugi oppure in un processo di proiezione di immaturità su uno dei figli, solitamente il figlio più fuso con la madre.
I cardini teorici del suo pensiero includono un altro tassello fondamentale per la comprensione della sua epistemologia: il concetto di triangolo.
Bowen sostiene che anche in una relazione apparentemente diadica ci sia sempre un terzo e che il triangolo sia la base di ogni sistema emotivo.
Per spiegare questo fenomeno egli sottolinea come, in alcuni casi in cui la tensione tra due individui sia molto elevata, il sistema “triangola” una terza persona in modo che il livello di tensione raggiunga quote più tollerabili. Questi sono i casi in cui si verificano esempi di coalizione, deviazione attacco, deviazione appoggio. Queste configurazioni, seppur molto diverse tra loro, sono accomunate dal fatto che la tensione venga scaricata tramite il coinvolgimento di un terzo che viene utilizzato per regolare il conflitto tra le due parti, realizzando, a catena, un processo di delega e di soddisfacimento di bisogni altrui che impedisce al singolo il raggiungimento di una propria autorealizzazione.
In questo Bowen riconosce l’utilità del Sé terapeutico nel setting come entità adeguatamente differenziata che possa, da un lato fungere da modello di differenziazione, dall’altro proponendosi come strumento di cambiamento.
“Tanto più un terapista è in grado
di definire se stesso in relazione con le famiglie,
tanto più facilmente i membri della famiglia
riescono a definire se stessi l’uno rispetto all’altro”
(Murray Bowen)
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