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Immagine del redattoreAlessia Zeppieri

Salvador Minuchin: lo spazio esterno come metafora di quello interno


“La terapia è un viaggio che comincia nell'incertezza”



A volte, osservando gli ambienti in cui viviamo, è possibile accorgerci dell'esistenza di alcune trame invisibili, che definiscono le regole della relazione e stabiliscono, fedelmente il modo di entrare in rapporto con l'altro.

Uno degli autori che ha contribuito maggiormente allo studio dell’influenza reciproca tra individuo e ambiente è Salvador Minuchin, pediatra, psichiatra e psicoterapeuta argentino, che con la sua psicoterapia familiare di impronta strutturale definisce la famiglia come “un laboratorio, matrice dell’identità per i componenti che ne fanno parte”.

Cosi come per gli altri pionieri, anche per Minuchin le esperienze di vita personali hanno contribuito notevolmente allo sviluppo della sua teoria. In questo caso, a seguito di un periodo lavorativo con minori nell’istituto William Alanson White di New York si rende conto di dover modificare il suo assetto lavorativo e inizia a coinvolgere i familiari nel lavoro coi bambini.




"L ’esperienza dell’identità umana si fonda su due elementi: un senso di appartenenza e un senso di differenziazione"


L’ approccio usato, seppur all'apparenza semplice, in realtà si basa su alcuni concetti fondamentali, primo tra tutti quello di struttura familiare, che viene intesa come l’insieme di invisibili richieste funzionali da cui derivano condotte e modelli di interazione ripetuti nel tempo che stabiliscono relazioni e modi di entrare in rapporto con l’altro.

La struttura identificata da Minuchin è un sistema aperto in cui, idealmente, i vari membri possono muoversi flessibilmente tra i bisogni di appartenenza e quelli di individuazione.



Se ci si immerge nella lettura delle trascrizioni delle sue sedute l’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un “architetto della famiglia” che con carisma, garbo e umiltà sposta sedie, innalza muri, muove gli elementi di arredo nella stanza come strumenti per rappresentare distanze e vicinanze emozionali.

Le varie fasi di vita del sistema imporrebbero a ciascun membro una ristrutturazione adattiva dello stesso e ciò determinerebbe un cambiamento nelle esperienze soggettive di ognuno.

La dimensione strutturale della famiglia identifica, pertanto, il formarsi di sottosistemi, ognuno dei quali è delimitato da confini che stabiliscono non solo le regole interne a quel sottosistema ma anche chi sta dentro o fuori da questo.

Il modello strutturale di Minuchin lavora allo scopo di agire sulla struttura del sistema familiare intervenendo in famiglie “disimpegnate”, dove i confini tra i sottosistemi sono estremamente rigidi o “invischiate”, dove invece i confini tra i sottosistemi sono estremamente diffusi.



Lavorare sulla struttura familiare significa produrre dei mutamenti a livello della singola esperienza psicologica dei membri.

Il livello di coinvolgimento, disimpegno, intrusione, coalizione tra i membri va analizzato alla luce dello stadio del ciclo di vita che si sta attraversando e in base a quello stabilirne o meno la funzionalità.


"Il problema di una bambino è sempre un problema familiare"



Le tecniche utilizzate da Minuchin sono molto pratiche e risolutive e puntano molto sull'organizzazione

spazi relazionali tra i familiari.

Una di queste, la demarcazione dei confini è funzionale sia a rimarcare la distinzione tra ruoli e funzioni, sia a facilitare livelli di comunicazione tra sottosistemi più funzionali ed efficaci.

In quest’ottica anche il sintomo viene riletto in chiave relazionale: Minuchin ha dato particolare rilevanza all’analisi di patologie quali anoressie, diabete, coliti utilizzando gli stessi sintomi del paziente designato per permettere una ristrutturazione della famiglia e propone di concentrarsi sul sintomo, in quanto il paziente designato rappresenta un nodo cruciale attraverso il quale convergono particolari transazioni del sistema.


“Non esiste un unico tipo di famiglia,

ne esistono a centinaia a seconda del contesto geografico, sociale e culturale.. Quel che dobbiamo chiederci non è “qual è la famiglia ideale”,

piuttosto come riuscire a essere bravi genitori, indipendentemente dalla forma famigliare”

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